Il borgo medievale di Santa Severa vanta origini molto antiche. La prima documentazione scritta nella quale compare il nome del luogo risale all’anno 939, ma in realtà esso si sviluppò nel luogo in cui già sorgeva l’insediamento etrusco di Pyrgi, legato al famoso santuario di Leucothea, nel quale è stata rinvenuta la celebre lamina d’oro con iscrizione bilingue etrusco-cartaginese.
Nel periodo romano l’insediamento rimase relegato ai margini della grande storia, per venire distrutto dalle incursioni saracene nel IX secolo.
A cavallo tra il X e l’XI secolo venne edificato sul posto dai conti della Tuscia un fortilizio “dedicato” alla giovane Severa, che era stata martirizzata nel 660 in un luogo poco distante.
La prima documentazione scritta del castello risale al 1068, quando il conte di origine normanna Gerardo di Galeria lo donò, insieme alla chiesa, all’abbazia di Farfa, che rappresentava uno degli enti ecclesiastici più importanti del Lazio medievale. S Severa rimase proprietà dell’abbazia fino al 1130, quando papa Anacleto II la donò all’abbazia di S. Paolo fuori le mura.
Nel corso dei secoli XIII e XIV il castello divenne proprietà di diverse nobili famiglie romane, come, ad esempio, quella degli Orsini, alla quale si deve la costruzione delle mura a ridosso del castello, per poi passare nel XV secolo agli Anguillara.
Tra il XVI e il XVII secolo il castello divenne luogo di sosta e di soggiorno prediletto dai papi: tra i molti, vi soggiornarono papa Gregorio XIII (1580), Sisto V (1588) e Urbano VIII (1633).
Dopo il seicento, considerato il periodo del suo massimo splendore, seguì una lunga e lenta decadenza. Nel 1943 fu utilizzato dai Tedeschi come postazione militare strategica.
In anni recenti il castello è stato oggetto di un intenso e definitivo recupero da parte della pubblica amministrazione. Ultimamente sono venute alla luce due importanti scoperte archeologiche: un tratto di mura poligonali databili III secolo a.C e alcuni tratti di mura risalenti al XIII secolo.
/
/
Le notizie storiche relative alla costruzione di Castel del Monte sono limitate ad un solo documento: la lettera del 29 gennaio 1240, con il quale l’imperatore Federico II di Svevia, figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, ordinava al Giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, di raccogliere il materiale necessario per la costruzione del castello, situato presso la chiesa (oggi scomparsa) di Sancta Maria de Monte. Fino alla morte di Federico II non vi sono altri documenti, tant’è che non è neppure storicamente accertato che il castello sia stato completato e che l’Imperatore lo abbia mai visitato.
Dopo il 1268, anno della definitiva sconfitta degli Svevi in Italia, Carlo I d’Angiò vi fece imprigionare i figli di Manfredi, Federico, Enrico ed Enzo, dando inizio all’uso improprio cui il castello fu oggetto per secoli. Escludendo, infatti, il breve periodo comprendente la prima metà del XIV secolo, in cui gli angioini lo utilizzarono come residenza – tra l’altro vi si celebrarono le nozze, nel 1308, tra Beatrice D’Angiò, nipote di Roberto, e Bertrando del Balzo e, nel 1326, tra Umberto de la Tour du Pin e Maria del Balzo – il castello fu ancora prigione durante il regno di Giovanna II e durante la discesa degli Ungheresi nel 1350. Passato agli Aragonesi prima e agli Spagnoli poi, fu venduto nel 1552 ai conti Carafa di Ruvo, che lo utilizzarono prima come “villa”, per poi abbandonarlo, considerato il suo isolamento. In occasione della terribile peste del 1656 fu utilizzato come rifugio da alcune nobili famiglie di Andria, ma dal XVIII secolo rimase pressoché incustodito, divenendo rifugio di pastori e di briganti e “cava” di materiali preziosi: in questo periodo il castello fu, infatti, spogliato dei marmi e dei rivestimenti tant’è che oggi resta solo la struttura muraria (ancorchè splendida) dell’edificio.
Acquistato nel 1876 dallo stato italiano per £ 25.000, “non già come prezzo (chè niuno il fabbricato ne vale) ma come semplice attestato di riconoscenza” alla famiglia che per secoli l’aveva tenuto,esso è stato oggetto di continui studi e restauri che si sono protratti sino ai giorni nostri. I lavori di restauro più significativi, però, iniziarono solo nel 1928, fino ad arrivare agli ultimi lavori della fine degli anni settanta del secolo scorso. Nel 1996, per le sue caratteristiche uniche, è stato inserito dall’UNESCO nel patrimonio mondiale dell’umanità.
Il primo nucleo abitato della futura città di Vigevano sorse in un luogo la cui naturale posizione difensiva ne avrebbe segnato il destino per sempre: da borgo fortificato in età comunale, Vigevano divenne infatti la sede di uno dei più significativi e importanti complessi fortificati italiani.
La storia di questa complessa struttura fortificata iniziò nel 1341, quando Vigevano entrò a far parte del vasto progetto visconteo di potenziamento e riforma delle fortificazioni della Signoria milanese. In quell’anno Luchino Visconti, che da poco era succeduto insieme al fratello, l’arcivescovo Giovanni, al nipote Azzone e già dal 1319 era stato eletto podestà del borgo, fece erigere a cavallo delle antiche mura di età comunale e al posto del preesistente castello una prima struttura fortificata.
Questo edificio, a pianta quadrata e detto “Rocca Vecchia”, fu il primo di una serie di costruzioni che, scandendo le successioni dei Visconti prima e degli Sforza poi, vennero a giustapporsi nel tempo, fino a trasformare il primo nucleo del castello in un gigantesco complesso monumentale che permea e domina tuttora l’intero centro storico di Vigevano.
Poiché la Rocca Vecchia aveva funzioni prettamente difensive, nel 1345 Luchino decise di far costruire sulla collinetta dove sorgeva il primo nucleo abitato del paese, dunque nel luogo più sicuro della città, un nuovo castello: una vera e propria residenza principesca dove vi potesse alloggiare con la famiglia e il suo seguito.
Questo secondo edificio, conosciuto con il nome di Maschio, si presentava come una struttura a pianta quadrata e torri quadrate agli angoli, così come voleva la tradizione architettonica dei castelli viscontei di pianura.
Per collegare le due strutture, sempre Luchino fece costruire una maestosa strada coperta sopraelevata, che con i suoi 163 metri di lunghezza e sette di larghezza attraversava una parte intera della città.
L’avvento al potere degli Sforza impresse nuovo impulso alla città di Vigevano, ed anche il castello conobbe una nuova fase di sviluppo (che va dal 1473 al 1494 circa): per volontà prima di Galeazzo Maria Sforza e poi di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, attorno al Maschio vennero costruiti nuovi edifici adibiti a scuderie capaci di contenere fino a quasi mille cavalli, mentre nella parte posteriore del maschio fu costruita una nuova ed elegante ala residenziale – detta “Loggia delle dame” – riservata alla sposa di Ludovico, Beatrice d’Este. Fu inoltre edificata la Torre a volume sovrapposti (detta impropriamente “bramantesca”), ma soprattutto, concepita come atrio nobile del castello, fu realizzata la piazza porticata, detta Ducale, un gioiello di rara bellezza rinascimentale, ancora oggi cuore pulsante della città.
A questi lavori collaborarono architetti di fama internazionale, in particolare Donato Bramante, del quale, grazie ai recenti lavori di restauro, è stata portata alla luce una splendida decorazione che abbelliva le facciate delle scuderie verso il cortile interno e che erano state scialbate.
Con la caduta di Ludovico il Moro (1499) e la successiva dominazione spagnola prima e austriaca poi, il castello conobbe un lungo periodo di declino e abbandono, durante il quale venne impropriamente adibito a caserma.
Tale abbandono si protrasse fino al 1967, anno in cui i militari si trasferirono definitivamente presso altre sedi. Dal 1978 sono iniziati i lavori di restauro che hanno parzialmente riportato il complesso al suo splendore.
Completamente isolato, il castello Ruffo di Calabria, universalmente noto con il nome di castello di Scilla, è situato su uno sperone di promontorio all’imbocco dello Stretto di Messina, in posizione dominante sia verso la costa che verso la città.
Da fonti storiche risulta che il sito fu utilizzato come postazione strategica già dagli Etruschi (VII secolo a.C), per divenire poi oggetto di opere di fortificazione durante il periodo magnogreco quando, come riferisce Strabone, venne munito di strutture difensive da Anassila, tiranno di Reggio, in seguito ampliate nel periodo romano. Le prime strutture murarie rintracciate dagli scavi risalgono all’impianto del monastero di San Pancrazio, edificato intorno alla metà del IX secolo dai Padri Basiliani per difendersi dalle incursioni dei Saraceni provenienti dalla Sicilia.
Nel 1060 Scilla fu conquistata da Roberto il Guiscardo, che attestò sulla rocca un presidio militare.
Nel XIII secolo il castello fu ulteriormente fortificato da Carlo d’Angiò e nel 1469 fu concesso da Ferrante I a un cavaliere vicino alla corte aragonese, Gutierre De Nava, che fece eseguire nuovi interventi di ampliamento e di restauro.
Nel 1533 il castello fu acquistato da Paolo Ruffo che restaurò anche il palazzo baronale annesso; nel 1578 i Ruffo ottennero il titolo di principe.
Il 5 febbraio 1783 fu danneggiato da un forte sisma e nel 1810 fu restaurato; subì gravi danni anche dal terremoto del 1908.
Dal 1808 il castello è di proprietà demaniale dello Stato
Negli anni 1970-1980 è stato adibito a Ostello della Gioventù e recentemente è stato nuovamente restaurato ed è un importante centro culturale (Centro regionale per il recupero dei centri storici calabresi) e sede di mostre e convegni.
Il castello di Drena sorge su un’altura che domina e sovrasta con la sua mole imponente il piccolo abitato di Drena nella Valle di Cavedine. Ai piedi del castello si stende il suggestivo deserto delle Marocche, esito di un particolare fenomeno glaciale che ha portato alla formazione di una distesa di macigni di 187 milioni di metri cubi. La sua particolare posizione strategica, che lo rese un importante mezzo di controllo della via di collegamento fra Trento e il lago di Garda, lo fece oggetto di contese nel corso di tutto il periodo Medievale.
Le prime tracce di insediamento sul territorio risalgono all’età preistorica, tanto che si è ipotizzato che alle origini del castello vi fosse un castelliere preistorico che evolvette in fortezza medievale. A conferma di queste ipotesi, nel 1984, in occasione dei lavori di ampliamento della Provinciale, sono state rinvenute tracce di un abitato che risalirebbe all’età del Bronzo.
Fra i primi proprietari di cui la storia è a conoscenza, va ricordata la famiglia dei Sejano, il cui nome compare in un atto del 1175 che documenta il passaggio di proprietà del castello alla famiglia degli Arco, principale responsabile dello sviluppo della fortezza. Agli inizi del XVIII secolo, durante la guerra di successione spagnola, fu preso e incendiato dalle truppe franco-ispaniche al comando del generale Vendome. Da quel momento il castello conobbe un lungo periodo di decadenza, fino ai giorni nostri, quando il castello è stato oggetto di una grandiosa opera di restauro curata dalla Provincia Autonoma di Trento.
Il castello di Zavattarello, arroccato su un possente sperone di roccia arenarica a guardia delle valli dei torrenti Morcione e Tidone, fu protagonista di numerose vicende storiche e di importanti fatti d’arme.
Esso fu innalzato, probabilmente per volere del monastero milanese di S. Ambrogio, a difesa del territorio circostante. I primi documenti sul borgo di Zavattarellum risalgono al secolo X, quando l’imperatore Ottone I lo cedette in feudo al potente monastero di S. Colombano di Bobbio. Il borgo, lungamente conteso tra Bobbio e Piacenza, passò nel 1169 sotto il controllo di quest’ultima. Nel 1327 il feudo fu concesso dall’imperatore Lodovico il Bavaro al nobile di origini piacentine Manfredo Landi, responsabile della ricostruzione e dell’ampliamento del castello, conferendogli la struttura che è arrivata fino a noi.
Nel 1358 il castello fu sede di uno storico incontro promosso dal duca di Milano, Gian Galeazzo Visconti, tra le famiglie Landi e Beccaria, che sfociò nella Lega di Voghera contro Pavia, colpevole, tra le altre cose, di aver aiutato Giovanni di Monferrato a sottrarre ai Visconti alcuni possedimenti piemontesi, fra cui Asti.
Nel 1390 feudo e castello divennero proprietà a una potente famiglia di condottieri, i Dal Verme, che mantennero la proprietà quasi ininterrottamente fino al 1975, anno in cui la stessa famiglia lo cedette al Comune di Zavattarello.
Durante la guerra di Successione Austriaca, nel 1747, il castello fu seriamente danneggiato da un forte incendio appiccato dai soldati francesi e solo nel 1895 venne restaurato dal conte Carlo Dal Verme.
Ma le vicissitudini del castello non erano terminate: nel 1945, infatti, esso fu nuovamente danneggiato e saccheggiato dalle truppe tedesche. Dal 1987 il Castello è stato oggetto di una estesa opera di recupero da parte dell’amministrazione comunale.